Le grandezze del campo magnetico

Le grandezze del campo magnetico

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Le grandezze del campo magnetico

 

Dopo aver visto la natura dei fenomeni magnetici, definiamo adesso le relative grandezze caratteristiche e le loro relazioni fondamentali. In generale queste sono valide sia per i magneti permanenti che per gli elettromagneti, in pratica facendo riferimento solo a questi ultimi, proprio perché le varie grandezze sono definite con unità legate alle correnti elettriche. Le considerazioni che faremo, tuttavia, sono perfetta­mente valide anche per i magneti naturali.

Abbiamo visto che ad un conduttore, o più in generale, ad un solenoide percorso da corrente, sono associate delle linee di forza; è allora la forza magnetica o intensità di campo magnetico (simbolo H), la prima grandezza che introduciamo.

Consideriamo solo la parte centrale di un solenoide lungo, ove le linee di forza risultano praticamente parallele: verso gli estremi divergono, figura 1.

 

La forza magnetica è proporzionale al valore della corrente I, al numero delle spire N che formano il solenoide ed inversamente proporzionale alla lunghezza I del solenoide.

La sua unità di misura è l’amperspire/metro

e corrisponde alla forza magnetica ottenuta in una spira, percorsa dalla corrente di 1A, che sia parte di un solenoide lungo un metro. A volte, viene utilizzata anche l’unità

Osserviamo che la forza magnetica è indipendente sia dal diametro della spira, cioè dall’area di questa, che dal materiale entro il quale agisce: H rimane lo stesso, se il campo si crea nell’aria o nel ferro.

Consideriamo adesso il campo magnetico di un conduttore rettilineo (percorso da corrente). Ricordando che le relative linee di forza sono circolari, la forza magnetica è data dal rapporto tra la corrente che percorre il conduttore e la lunghezza della linea di forza considerata. Se r è la distanza di questa dal conduttore, la sua lunghezza sarà 2×π×r, e quindi la relazione precedente diventa:


La forza magnetica è una grandezza unitaria del campo, è riferita infatti ad una lunghezza unitaria (un metro) di solenoide. Se consideriamo invece tutta la lunghezza dell’avvolgimento, otterremo la tensione magnetica, che corrisponde alla somma delle forze magnetiche che si hanno nel circuito, moltiplicate per la lunghezza entro la quale ciascuna di esse agisce.

Considerando costante la forza magnetica e indicando con M la tensione magnetica, possiamo scrivere:

 

M = H × l

e ricordando che

abbiamo
misurata in amperspira (Asp).

La parola tensione richiama quella dei circuiti elettrici.

Come in questi è presente una f.e.m. ai capi di un generatore, qui si ha una forza magnetomotrice (f.m.m.) agli estremi di un solenoide percorso da corrente che agisce nel circuito come causa del campo magnetico. Allo stesso modo, come esiste una c.d.t. in un utilizzatore, qui abbiamo una c.d.t. magnetica fra due punti di un circuito magnetico che non comprendono elettromagneti o magneti naturali.

Questa c.d.t. si verifica in tutte le parti del circuito magnetico e i suoi valori dipendono anche dal materiale di cui questo è costituito.

Le formule date per la tensione magnetica, (H × I e N × I), si possono applicare indifferentemente per calcolare la f.m.m.; per la c.d.t. magnetica, invece, ha senso solo l’espressione H × I poiché abbiamo detto che essa si ha dove non esistono né spire né corrente. Dobbiamo, a questo punto, introdurre una grandezza che abbia lo stesso significato nei riguardi della c.d.t. della corrente elettrica (effetto): il flusso magnetico (simbolo Φ, leggi fi).

L’analogia tra corrente elettrica e flusso magnetico è solo formale. Infatti nella corrente si ha, in seno al circuito, spostamento di elettroni; nel caso del flusso, invece, nessuna particella materiale si muove; al più si può pensare ad un orientamento delle orbite degli elettroni nel senso delle linee di forza, effetto simile a quello determinato da un campo elettrostatico su un dielettrico.

Possiamo dire a questo punto che la tensione magnetica è la causa del fenomeno magnetico, il flusso ne è invece l’effetto. Inoltre, mentre la tensione non risente del mezzo entro il quale si sviluppa il campo, il flusso dipende da quest’ultimo e particolarmente dalle sue proprietà magnetiche.

Il flusso magnetico, misurato in Weber (Wb), è valutato su tutta la sezione del campo considerato. Torna comodo, in pratica, riferirsi spesso al flusso che attraversa una sezione unitaria del campo, Figura 2.

 

Otteniamo in tal caso una grandezza chiamata induzione magnetica che indichiamo con B:

la cui unità di misura è il:

Abbiamo accennato all’importanza che ha la natura del materiale nei riguardi del flusso prodotto. Vediamo adesso di definire una caratteristica dei materiali magnetici che, per analogia, possa essere messa in relazione con la resistività, o meglio con la conducibilità, dei conduttori elettrici. Anche questa grandezza entra in gioco richiamando il legame che esiste tra causa ed effetto nei fenomeni magnetici.

L’esperienza insegna che esiste un legame di proporzionalità tra la causa (M, H) e l’effetto (Φ, B) e che, considerando i parametri specifici, possiamo scrivere:

 

B = μ × H

 

dove μ (leggi mu) chiamata permeabilità magnetica è il coefficiente di proporzionalità legato alla natura del materiale entro cui si sviluppa il campo. Questa grandezza viene misurata in

una unità derivata dal rapporto

cioè dimensionalmente:

 

in cui l’Henry corrisponde al rapporto tra Weber e Amperspire.

La permeabilità esprime l’attitudine che possiede un certo materiale a lasciarsi attraversare dal flusso magnetico; ciò vuol dire che i corpi che hanno permeabilità elevata si magnetizzano intensamente anche con forze magnetiche ridotte.

La permeabilità assume, in molti casi, dei valori variabili, ossia non sempre è una costante. Nella pratica per ogni materiale magnetico non vengono dati i valori assoluti di permeabilità ma, come abbiamo visto per le costanti dielettriche, prendiamo un valore di riferimento, e, in funzione di questo, definiamo i valori relativi degli altri materiali.

Anche in questo caso il valore di riferimento della permeabilità magnetica scelto è quello dei vuoto, o dell’aria, che è noto e costante:

Per gli altri materiali otteniamo:

essendo μr il rapporto tra la permeabilità assoluta del materiale considerato e quello del vuoto, detto anche permeabilità relativa, (μr) la quale oltre che a contraddistinguere comodamente le varie sostanze dal punto di vista del loro comportamento magnetico, ne permette una classificazione.

A tale riguardo le sostanze il cui comportamento magnetico differisce assai poco da quello del vuoto, le più numerose vengono raggruppate, a seconda che la permeabilità relativa sia leggermente inferiore o superiore a uno, rispettivamente, in diamagnetiche o paramagnetiche.

Riportiamo come esempio la Tabella che mette in evidenza i valori di permeabilità relativa per alcune sostanze magnetiche e paramagnetiche.

Le sostanze invece che mostrano una spiccata tendenza alla magnetizzazione, cioè quelle che presentano una permeabilità relativa di gran lunga maggiore di uno, sono le cosiddette sostanze ferromagnetiche, indicate molte volte semplicemente come magnetiche in contrapposizione a quelle dia e paramagnetiche dette correntemente, invece, non magnetiche.

 

Tabella. Valori di permeabilità relativa, per alcune sostanze magnetiche e paramagnetiche

Sostanze diamagnetiche

Permeabilità magnetica relativa

Idrogeno

0,999 994

Acqua

0,999 991

Rame

0,999 990

Argento

0,999 981

Oro

0,999 962

Bismuto

0,999 830

Sostanze paramagnetiche

Aria

1,000 000 4

Ossigeno

1,000 001 4

Alluminio

1,000 022

Platino

1,000 360

Manganese

1,003 800

 

La classificazione che distingue le sostanze in diamagnetiche, paramagnetiche e ferromagnetiche è basata sulle diverse reazioni dei materiali sottoposti all’azione di un campo magnetico esterno. Quando una sostanza diamagnetica viene immersa in un campo magnetico, essa reagisce indebolendo il campo esterno con un piccolo momento magnetico diretto in verso opposto. Questo fenomeno è l’effetto macroscopico dell’induzione nel materiale di correnti elettriche atomiche, i cui singoli momenti magnetici hanno verso contrario al campo applicato.

Il comportamento paramagnetico riguarda materiali i cui atomi e le cui molecole sono per loro natura dotati di un momento magnetico proprio. In presenza di un campo magnetico esterno, i singoli momenti magnetici atomici tendono ad allinearsi lungo la direzione del campo applicato, rinforzandolo. I materiali paramagnetici contengono solitamente metalli di transizione o elementi delle terre rare, i cui atomi sono caratterizzati dalla presenza di elettroni spaiati. I fenomeni paramagnetici nei non–metalli dipendono generalmente dalla temperatura; più precisamente, l’intensità del momento magnetico indotto è inversamente proporzionale alla temperatura. Ad alte temperature infatti l’allineamento dei momenti magnetici atomici della sostanza lungo la direzione del campo magnetico è ostacolato dal moto vibrazionale di agitazione termica degli atomi stessi.

Una sostanza si dice ferromagnetica se è in grado di conservare un momento magnetico anche una volta rimosso il campo magnetizzante. Questo effetto è il risultato di una forte interazione tra i momenti magnetici atomici della sostanza. I materiali ferromagnetici sono divisi in piccole aree chiamate domini; all’interno di ogni dominio i momenti magnetici sono allineati in un’unica direzione. In presenza di un campo magnetico esterno i domini, che normalmente hanno un’orientazione casuale, si allineano secondo la direzione del campo applicato, determinando la magnetizzazione del materiale. L’energia spesa per smagnetizzare il materiale ferromagnetico magnetizzato si manifesta in un ritardo nella risposta, detto isteresi.

Al di sopra della cosiddetta temperatura di Curie, dal nome del fisico francese Pierre Curie che studiò il fenomeno nel 1895, i materiali ferromagnetici perdono le loro proprietà. Per il ferro metallico la temperatura di Curie è di circa 770 °C, per il cobalto 1127 °C. è importante sottolineare che se il materiale viene riportato al di sotto del suo punto di Curie, esso riacquista le sue proprietà ferromagnetiche e può essere nuovamente magnetizzato.

 

Altre classificazioni delle proprietà magnetiche

In seguito a recenti scoperte sulle origini atomiche delle proprietà magnetiche, sono state formulate altre classificazioni dei materiali. Si conoscono sostanze per le quali risulta energeticamente favorevole che i momenti magnetici si allineino in modo antiparallelo; queste sostanze sono quindi dette antiferromagnetiche. Al di sopra della temperatura di Néel, l’equivalente della temperatura di Curie, le proprietà antiferromagnetiche scompaiono.

Sono stati osservati anche altri comportamenti dei momenti magnetici atomici. Le sostanze ferrimagnetiche hanno almeno due tipi diversi di momento magnetico atomico, l’uno antiparallelo all’altro. Questi momenti sono di intensità diversa e quindi non si annullano; il risultato è perciò un momento magnetico netto. Secondo questa classificazione la magnetite risulta un ferrimagnete, e non un ferromagnete; infatti sono presenti nel materiale due tipi di ioni di ferro, ciascuno con un momento magnetico diverso.

Sono stati osservati anche sistemi più complessi, in cui i momenti magnetici sono disposti a spirale. Gli studi condotti in questo campo hanno fornito importanti informazioni sulle interazioni tra momenti magnetici nei solidi.

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