Bobina e fenomeni transitori

Bobina e fenomeni transitori

Bobina e fenomeni transitori

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La bobina, costituita da un gran numero di spire in modo da ottenere induzioni magnetiche elevate, è l’elemento reale che realizza il fenomeno dell’autoinduzione.

La sua caratteristica peculiare quando viene inserita in un circuito, è, per quanto detto, induttanza; quindi, dal punto di vista circuitale, ha la stessa rappresentazione simbolica già vista per questa.

Ricollegandoci a quanto svolto finora sui fenomeni della autoinduzione vediamo il comportamento della bobina quando è inserita in un circuito e successivamente ne è disinserita.

Innanzitutto mettiamo in evidenza un aspetto molto importante dell’induzione.

Noi sappiamo, dalla legge di Lenz, che se la corrente aumenta in un circuito dotato di elementi induttivi, la f.e.m. di autoinduzione ha segno tale da produrre una corrente contraria, cioè che tende ad ostacolare l’aumento della corrente. Se viceversa la corrente diminuisce, la corrente indotta tende a mantenerla avendo il suo stesso senso. Ciò significa in altre parole che nei circuiti ad elevata induttanza vi è una certa inerzia che si oppone a qualsiasi mutamento di regime.

Per comprendere meglio pensiamo all’inerzia meccanica: lanciare o fermare una pallina di gomma non ci costa molta fatica, ma se dobbiamo muovere un’automobile ci vuole uno sforzo notevole, molto maggiore di quello necessario per continuare a spingerla quando avrà preso un po’ di velocità. Dovremo compiere ancora un grande sforzo se cercheremo di arrestarla di colpo, perché l’inerzia anche in questo caso si oppone alla variazione di velocità.

Ritornando alla bobina, l’inerzia deriva dal’energia accumulata nel campo magnetico, la quale è in relazione con il valore della corrente circolante I e con quello dell’autoinduttanza L.

Abbiamo infatti visto in precedenza che l’energia magnetica accumulata nel campo è data da:
Il flusso Φ può essere espresso in funzione dell’autoinduttanza di un circuito (una bobina) di N spire secondo la relazione:

per cui si ottiene:L’inerzia opposta dai circuiti fortemente induttivi alle variazioni di regime si rivela chiaramente nel caso in cui si effettua la chiusura e l’apertura del circuito stesso.

Quando si chiude un circuito induttivo (vedi Figura 1) la corrente non raggiunge subito il valore determinato dalla legge di Ohm

ma lo raggiunge dopo un tempo t1, funzione dell’induttanza della bobina. Ciò, ovviamente, perché alla tensione applicata si oppone la f.e.m. di autoinduzione che nasce nella bobina dalla variazione della corrente. Dopo il tempo t1, sparisce la f.e.m. di autoinduzione perché la I ha raggiunto il valore di regime.

Se, trascorso il tempo t1 + t2, si apre il circuito, la corrente non si estingue nell’istante stesso di apertura dell’interruttore, ma si annulla dopo un tempo t3 funzione della induttanza della bobina. Ciò perché a causa della brusca interruzione della corrente ha origine nella bo­bina una f.e.m. che, per la legge di Lenz, è dello stesso senso della tensione applicata: I tende cioè ad opporsi alla diminuzione della corrente, quindi a prolungarla nel tempo.

Se L è notevole, questa f.e.m. autoindotta può assumere valori elevati e, conseguentemente, dar luogo ad intense extracorrenti di apertura. Le manifestazioni energetiche che ne derivano (scintilla) avvengono a spese del campo magnetico che va estinguendosi all’atto dell’interruzione della corrente. In tale periodo t3, transitorio, il campo magnetico restituisce l’energia, creata nel tempo t, e immagazzinata dal campo magnetico.

Consideriamo, ad esempio, un circuito alimentato da una batteria e in cui in derivazione alla bobina di induttanza L = 0,6 H sia stata posta una lampadina ad incandescenza di potenza 40 W e tensione 125 V (vedi Figura 2). In condizioni normali (interruttori T1 e T2 chiusi) la lampadina è spenta (ha elevata resistenza rispetto alla bobina induttiva), ma all’atto dell’interruzione del circuito (aprendo l’interruttore T1) essa brilla di luce vivissima per un tempo brevissimo.

 

Se la corrente interrotta è di 4 A, l’energia che si libera del campo magnetico è:

Posta una durata dell’interruzione di t = 0,02 secondi, la f.e.m. media autoindotta è quindi:

mentre la potenza media liberata attraverso la luce emessa dalla lampadina è:

Se la derivazione mancasse (interruttore T2 aperto), detta potenza si esaurirebbe tra i contatti dell’interruttore T1, alla sua apertura, aumentando l’intensità della scintilla.

I transistori di corrente alla chiusura (t1) e all’apertura (t3) sono regolati dalla costante di tempo del circuito.

Il significato di questa grandezza è simile a quello del transitorio di carica e scarica dei condensatori.

Nel circuito induttivo visto, se L è l’induttanza della bobina ed R la sua resistenza (in generale L è l’induttanza ed R la resistenza totale del circuito), la costante di tempo, indicato al solito con τ, è data dal valore:

che è misurata in secondi o nei sottomultipli millisecondi o microsecondi.

τ può essere interpretata come quell’intervallo di tempo che sarebbe necessario alla corrente per raggiungere il valore di regime se questa continuasse a crescere con incremento costante uguale a quello iniziale. Poiché il transitorio non è lineare in pratica si ha che il valore di regime viene raggiunto, nel nostro esempio, dopo 5 costanti di tempo, mentre per t = τ la corrente raggiunge il 63% circa del suo valore finale.

Conoscere il valore numerico assunto dalla costante di tempo è molto importante. Infatti più un circuito è induttivo e più alto sarà il valore del rapporto

perciò più alto risulterà il valore della costante di tempo e quindi del tempo necessario perché la corrente raggiunga il valore di regime.

Un fenomeno negativo, accennato anche nell’esempio, è la scintilla o arco di apertura che si verifica all’atto dell’apertura dell’interruttore. Esistono in pratica diversi modi di eliminare l’inconveniente: vediamone uno.

Nella figura 3 sono rappresentati una bobina di induttanza L e un interruttore in parallelo al quale è stato inserito un condensatore di capacità C. La funzione di quest’ultimo elemento si spiega ricordando quanto detto a proposito della carica e scarica dei condensatori.

Quando l’interruttore è chiuso, il condensatore è in corto circuito e quindi non vi è tensione fra le sue armature, cioè nessuna carica nel dielettrico. Appena l’interruttore si apre, alle armature del condensatore viene applicata tutta la tensione V del circuito ed esso può caricarsi, assorbendo dal circuito (dalla bobina) l’energia che ha accumulato nel campo magnetico e dare origine ad una corrente di carica che ha un andamento simile a quello della corrente del transitorio magnetico. Il risultato è che campo magnetico ed elettrico si scambiano fra loro tale energia consentendo alla corrente che transitava sui contatti dell’interruttore di interrompersi bruscamente come se il circuito fosse puramente resistivo.

Naturalmente il condensatore rimane caricato finché l’interruttore è aperto poiché alle sue armature è applicata la tensione V.

Per ottenere l’effetto voluto occorre naturalmente, come abbiamo detto, che il campo magnetico e quello elettrico abbiano caratteristiche tali da potersi compensare completamente.

In altre parole, la capacità del condensatore deve essere tale da assorbire, alla tensione di esercizio del circuito, una quantità di energia pari alla energia magnetica che è accumulata nel circuito quando vi circola la normale corrente di regime.

Inoltre, per avere una perfetta compensazione occorre anche che le due costanti di tempo siano uguali o simili, in modo che l’andamento dei due transitori sia all’incirca uguale.

Per questo motivo si deve porre in serie alla capacità C anche una resistenza Rc per far sì che sia verificata la condizione

essendo R la resistenza della bobina.

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