Componentistica Elettronica di Comando

Componentistica Elettronica di Comando

Componentistica Elettronica di Comando

Come si è visto, i controlli a catena chiusa sono caratterizzati dalla presenza del segnale di retroazione.

Affinché il valore d’uscita risulti il più possibile vicino al valore di riferimento è necessario che il segnale di retroazione si confronti continuamente col segnale di riferimento imposto e che il valore risultante da questo confronto venga opportunamente elaborato per il comando del convertitore di potenza.

Questa funzione è svolta da un circuito di regolazione detto regolatore, che viene così a rappresentare, in un certo senso, il “cuore” del sistema di controllo.

Il circuito di regolazione si è evoluto nel tempo seguendo gli sviluppi del progresso tecnico ed adeguandosi ai nuovi componenti che risultavano via via disponibili. Si è pertanto passati dai regolatori di tipo elettromeccanico a quelli elettronici utilizzanti tubi a vuoto o a gas. Si sono poi impiegati gli amplificatori magnetici ed i circuiti elettronici a transistori ad elementi discreti, per giungere alle attuali soluzioni basate sull’impiego di circuiti integrati di diversa complessità. 

Il Regolatore

Riprendiamo lo schema a blocchi:

 

osserviamo che il regolatore è composto da: 

  • un nodo di confronto costituito da una rete elettrica resistiva;
  • un amplificatore di errore realizzato con amplificatori operazionali;
  • un modulatore realizzato con amplificatori operazionali o con circuiti integrati opportunamente progettati.

Descriviamo ora il comportamento del regolatore.

Come è noto, quando il sistema di controllo è in presenza di fenomeni di disturbo, la grandezza fisica di uscita presenta un valore non conforme al valore di riferimento.

Il trasduttore misura la grandezza reale, la trasforma in un segnale elettrico e il blocco di retroazione rende tale segnale proporzionale al valore di riferimento.

A questo punto il nodo di confronto opera la differenza fra il valore di riferimento e quello reale.

Sappiamo che tale differenza è chiamata errore.

Un sistema di controllo è tanto più sensibile e quindi affidabile, quanto più il valore dell’errore è basso, ma se esso è troppo basso, l’effetto di correzione del sistema risulta trascurabile.

Infatti, definendo VR il valore reale e ε l’errore:

VRif = VR

è evidente che se ε tende a zero, VR tende a VRif.

Per portare l’uscita al valore imposto dal riferimento bisogna allora amplificare l’errore. A ciò è predisposto l’amplificatore di errore.

Infatti i circuiti di amplificazione hanno il compito di fornire in uscita un segnale ingrandito e quanto più possibile fedele al segnale in ingresso.

Nei sistemi di automazione il dispositivo più utilizzato è l’amplificatore operazionale, così chiamato perché originariamente era destinato a circuiti di calcolo analogico.

L’amplificatore operazionale, che spesso viene indicato con la dicitura abbreviata “OP AMP”, derivata dall’inglese OPerational AMPlifier, agisce sul segnale in modo lineare, amplificando in ugual misura sia la componente continua che quella alternata.

In figura è rappresentato il simbolo grafico dell’amplificatore operazionale: 

Solitamente, un amplificatore operazionale ha un’uscita e due ingressi, uno indicato con il segno (–), l’altro con il segno (+).

L’applicazione di un segnale tra l’ingresso negativo e la massa (punto di riferimento dei segnali di ingresso e uscita) provoca l’inversione del segnale di uscita. Vale a dire che più il segnale di ingresso diventa positivo, più quello di uscita s’incrementa in senso negativo. Viceversa un segnale applicato tra l’ingresso positivo e la massa viene amplificato senza alcuna inversione.

Quando il segnale in ingresso è una sinusoide, quello in uscita risulta in fase con il segnale applicato all’ingresso (+), mentre è sfasato di 180° rispetto a quello applicato all’ingresso (–).

In caso di presenza contemporanea di segnali ai due ingressi, l’amplificatore funziona in modo differenziale: il segnale in uscita è positivo allorché all’ingresso (+) è applicato un segnale di ampiezza superiore a quella del segnale presente all’ingresso (–); è invece negativo quando ad essere superiore è il segnale applicato all’ingresso (–). Il tutto proporzionalmente al valore dei due segnali in ingresso. (Imponendo che entrambi i segnali in ingresso siano positivi).

Nella figura è rappresentato il comportamento dell’amplificatore operazionale: 

  • caso A: il segnale d’ingresso è applicato all’ingresso (+)
  • caso B: il segnale d’ingresso è applicato all’ingresso (–)

Per la realizzazione del regolatore l’amplificatore operazionale viene generalmente impiegato con reazione negativa in collegamento invertente, rappresentato in figura: 

 

dove AO = amplificatore operazionale.

Per la corretta interpretazione dello schema, si tenga presente che:Dove:

G = guadagno (valore dell’amplificazione) segnale di uscita

Vu = segnale d’uscita

Vi = segnale d’ingresso

E essendo:

Vu = Zr·i          con Zr impedenza di reazione

Vi = Zi·i          con Zi impedenza di ingresso

Per cui:

Nel nostro caso l’impedenza (Z) è costituita da una resistenza (R); la corrente (i) che attraversa l’impedenza Z; è uguale a quella che attraversa l’impedenza Zr; infatti, essendo tendente a ∞ l’impedenza di ingresso dell’operazionale, esso non assorbe corrente, se non in quantità trascurabile, dai suoi ingressi.

Dovendo realizzare nel regolatore il confronto fra il segnale di riferimento (VRif.) e quello di retroazione, all’amplificatore operazionale viene applicata una doppia rete resistiva all’ingresso della quale i due segnali sono applicati con polarità opposta, per cui la relazione di cui sopra risulta così completata: 

Si ottiene così un amplificatore invertente in cui la tensione d’uscita risulta uguale alla differenza dei segnali, amplificata e cambiata di segno.

Cioè:

Di seguito si rappresenta la configurazione dell’amplificatore operazionale, al cui ingresso è stata applicata la doppia rete resistiva. 

Il circuito presentato ci permette di vedere che in pratica il nodo di confronto è realizzato dalla rete posta in ingresso all’operazionale.

Facciamo notare che il comportamento di un amplificatore dotato delle caratteristiche descritte risulta ottimale in condizioni “statiche”, cioè quando i segnali in arrivo al suo ingresso presentano variazioni lente.

Ma in un controllo automatico di tipo industriale questi segnali presentano anche variazioni veloci (condizioni “dinamiche”).

Per rendere il sistema ottimale sia in condizioni statiche, che dinamiche, occorre modificare la struttura circuitale dell’amplificatore, inserendo sulla rete di reazione (Zr) un condensatore la cui capacità emergerà dalle prove pratiche operate sul campo.

A questo punto del processo, il segnale regolato deve comandare il convertitore di potenza.

Ma il segnale di uscita dell’amplificatore non può intervenire direttamente sul comando dei componenti di potenza perché questi richiedono segnali diversi in: 

  • ampiezza
  • forma
  • frequenza

Il segnale deve quindi essere trasformato attraverso il modulatore. E poiché ci sono due tipi di componenti per convertitori di potenza, ci saranno due tipi di modulatori: 

  • modulatori per convertitori a controllo di fase, che generano un segnale ad impulso, idoneo al comando del componente SCR;
  • modulatori per convertitori a transistori funzionanti in regime di commutazione (PWM), che generano un segnale ad onda quadra di larghezza modulata, idoneo al comando di transistori. 

La figura rappresenta schematicamente la differenza delle uscite, a parità di ingresso, delle due soluzioni: Nel primo caso la variazione del segnale d’ingresso (Vi) è proporzionale alla variazione di fase del segnale di uscita (Vu) cioè al ritardo, rispetto al punto in cui la sinusoide attraversa lo zero dell’impulso generato; nel secondo caso la variazione del segnale di ingresso è proporzionale alla modulazione di larghezza del segnale di uscita.

Esempio di amplificatore operazionale

L’amplificatore operazionale integrato più diffuso nell’industria è il microamplificatore 741 (µA741).

La Casa costruttrice fornisce:

  • lo schema “semplificato” dei circuito interno
  • informazioni sul contenitore e sulla piedinatura
  • le caratteristiche funzionali per l’impiego

Le principali caratteristiche funzionali per l’impiego presentate nel data sheet sono raggruppabili nella seguente tipologia:

 

  • le specifiche della Casa costruttrice: che indicano le possibili applicazioni del µA741;
  • i valori massimi assoluti: che non possono essere superati senza compromettere l’efficienza del dispositivo;
  • la tensione di alimentazione: che indica il massimo valore di alimentazione riferito alla massa;
  • la dissipazione interna di potenza: che indica la massima potenza che il µA741 può dissipare;
  • la tensione differenziale d’ingresso: che indica il massimo valore di tensione applicabile tra l’ingresso invertente (–) e quello non invertente (+);
  • impedenza d’ingresso: che indica la possibilità del µA741 di elaborare segnali provenienti da generatori con elevata impedenza interna;
  • impedenza d’uscita: che consente di conoscere le caratteristiche del segnale generato dal µA741;
  • guadagno di tensione ad anello aperto: che consente di conoscere il rapporto tra l’ampiezza del segnale di tensione in uscita e quella dei corrispondenti segnali in ingresso;
  • banda passante: che consente di conoscere l’ambito di frequenza entro cui il guadagno di tensione si mantiene costante;
  • corrente d’uscita di corto circuito: che indica il valore massimo di corrente che il µA741 può fornire in uscita;
  • escursione della tensione di uscita: che indica il massimo valore, da picco a picco, che può avere la tensione di uscita senza che il µA741 vada in saturazione; 
  • campo di temperatura di funzionamento: che indica la gamma dei valori di temperatura entro la quale il µA741 può funzionare con le caratteristiche fornite dal costruttore;
  • la rapidità di risposta: che indica la massima velocità di variazione della tensione di uscita.

Riportiamo in tabella, a titolo esemplificativo, alcuni valori delle caratteristiche suddette: 

Guadagno in tensione ad anello aperto

2.000.000 (130 dB)

Impedenza d’uscita

75Ω

Impedenza d’ingresso

2 MΩ

Max tensione di alimentazione

±18V

Max oscillazione tensione di uscita

±13V

Max segnale differenziale d’ingresso

±30V

Max segnale d’ingresso verso massa

±15V

Frequenza a cui il guadagno si riduce di –3 dB

6kHz

Un esempio di modulatore

Nei controlli automatici industriali il modulatore può essere realizzato o con circuiti integrati opportunamente predisposti o con circuiti integrati operazionali. Attualmente la tendenza è quella di utilizzare circuiti integrati specifici, disponibili sia nella versione adatta al comando per transistori sia nella versione adatta agli SCR.

Presentiamo un esempio di modulatore realizzato con circuito integrato adatto al comando di SCR: l’N.E.555.

L’N.E.555 è noto come Timer; essendo però molto “versatile” può essere impiegato come modulatore per il comando di SCR a controllo di fase.

Ha dimensioni molto ridotte; opportunamente collegato è in grado di generare segnali impulsivi molto stabili e precisi, è molto economico, e pertanto la sua utilizzazione come modulatore risulta ottimale.

Essendo un componente molto diffuso, è realizzato da più Case produttrici; è reperibile in commercio con due tipi di contenitori diversi.

Le Case produttrici forniscono: 

  • lo schema dei circuito interno
  • informazioni sulle piedinature e sui contenitori
  • le soluzioni circuitali consigliate 

Piedinatura e contenitori 

Lo schema rappresenta la soluzione circuitale idonea a generare il segnale impulsivo per il comando dell’SCR.

Soluzione circuitale n°2 Lo schema rappresenta la soluzione circuitale idonea a generare l’onda quadra modulata, necessaria al comando dei Transistori/Mosfet del finale di potenza in un sistema tipo PWM.

 

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