Roboetica, l’urgenza di una riflessione

Roboetica, l’urgenza di una riflessione

 

Attorno al mese di dicembre del 1910 le caratteristiche dell’uomo cambiarono.
(Virgina Woolf)
I possibilisti vivono in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi.
(Robert Musil)

Mentre l’evoluzione biologica ha dotato gli organismi viventi prima di un corpo e poi di un cervello, avente funzioni di controllo centrale e dotato, negli organismi più complessi, di proprietà cognitive superiori, l’intelligenza artificiale funzionalistica è partita dal cervello e ha tentato di costruire una mente senza corpo, cioè un’intelligenza che imitasse le funzioni superiori, simboliche e astratte, del cervello biologico evitando ogni interazione con un ambiente considerato fonte di disturbo. Tuttavia la difficoltà di estendere questa forma d’intelligenza artificiale al di fuori dei domini simbolico-formali ha fatto ritenere che soltanto accoppiando la mente artificiale all’ambiente attraverso un corpo artificiale, dotato di sensi e di organi attuatori, si potesse ottenere un’intelligenza flessibile e ad ampio spettro analoga a quella biologica.

Benché in questo ambito gli scenari sconfinino spesso nella fantascienza, essi rispecchiano tendenze e problemi che da una parte sono sempre più vicini alla realtà della vita quotidiana e dall’altra tendono a improntare di sé molte ricerche nell’ambito dell’intelligenza artificiale, della robotica, della protetica, dell’ibridazione nanometrica. È alla luce di questi sviluppi e di queste tendenze che si devono considerare le prospettive aperte dalla robotica e dalla presenza dei robot tra noi. I robot lavorano con noi e per noi, e questa collaborazione per il momento ha il carattere di una dipendenza unidirezionale, ma in un qualsiasi momento essa potrebbe assumere natura paritaria o quasi per i continui progressi tecnici. La distinzione, oggi chiarissima, tra uomo e robot tende ad attenuarsi, l’antropologia tende a confondersi con la “robotologia”.La convinzione è che per trarre beneficio dalla fretta del progresso tecnologico noi umani sceglieremo di fondere la nostra biologia con la tecnologia computerizzata e robotica. Ci sono già molte persone con arti o articolazioni artificiali e alcune persone con chip di computer impiantati nel cervello per aiutarli a sentire o vedere (presto le persone avranno impianti cerebrali per essere più intelligenti). Pertanto potrebbe non esserci una distinzione così forte tra “noi” e “loro”. 
Si potrebbe pensare che si sta ignorando una differenza essenziale tra noi e i computer: il fatto che siamo “vivi” e in grado di provare “emozioni”. Ma alcuni suggeriscono che i nostri cervelli sono solo computer biologici e che ciò che chiamiamo “emozioni” sono solo un aspetto di ciò che sta accadendo all’interno del nostro software umano. Se si è d’accordo con questo, si è costretti a chiedersi se i computer avranno presto sentimenti ed essere “vivi”; se diventeranno vivi allora il futuro dell’umanità sembra ancora più cupo, e alcuni esperti hanno suggerito che la specie umana potrebbe persino estinguersi, resa ridondante dalla nostra stessa tecnologia.
A questo proposito si prospetta il vasto problema della sostituibilità del robot all’uomo, problema che fu già affrontato dal filosofo e matematico Norbert Wiener quando si rese conto delle possibili implicazioni della tecnologia dell’informazione. Ma la riflessione filosofica risale addirittura a Kant, che pose un chiaro divieto all’uso strumentale dell’essere umano. Il problema della sostituibilità presenta un aspetto tecnico (si tratta di valutare il rapporto mezzi-fini in un contesto specifico); un aspetto economico (rapporto costi-benefici, che nel caso dei robot di servizio, badanti, camerieri e così via, potrebbe comprendere una valutazione più soggettiva, legata alla cortesia, alla gradevolezza, all’estetica); un aspetto legale (d’importanza cruciale è l’attribuzione della responsabilità di un danno provocato da un robot nell’interazione con una persona). E infine: esistono settori in cui l’integrazione o la sostituzione sia da escludere? Questa domanda apre alla prospettiva etica nel senso kantiano, che ha a che fare con la dignità e con i fini e che a sua volta dovrebbe essere la base per le decisioni politiche e, in ultima istanza, anche tecniche.
Tra gli specialisti è diffusa l’opinione (spesso irriflessa) che l’introduzione nel nostro mondo di macchine intelligenti (qualunque sia il significato di questo aggettivo) e la sostituzione degli esseri umani con queste macchine portino benefici generalizzati alla società. Questa opinione dovrebbe confrontarsi con un fatto che è sotto gli occhi di tutti: sempre più le innovazioni assumono un carattere imperativo. Cioè si diffondono in base a una motivazione implicita e intrinseca, di carattere tecnico-economico, e non perché una discussione aperta e democratica tra i vari soggetti e attori sociali abbia stabilito che sono vantaggiose, magari dopo un periodo di assestamento in cui certi settori potrebbero risultare danneggiati.
Poiché la tecnologia avanza con velocità crescente, è opportuno dedicare attenzione a questi problemi, che sono complicati dal fatto che nel rapporto uomo-macchina è l’uomo che, per la sua flessibilità, di solito si adatta alla tecnologia, e non il contrario. Questo adattamento comporta trasformazioni antropologiche che da alcuni sono state assimilate, impropriamente, a una “disumanizzazione”. In realtà si tratta di modifiche di tipo evolutivo, e ve ne sono sempre state: la natura umana, a lungo considerata fissa, non lo è affatto e subisce modificazioni continue anche per effetto della tecnologia. I problemi indotti dalla stretta interazione, o meglio dalla vera e propria simbiosi tra l’uomo e la macchina sono di natura non solo cognitiva, culturale o sociale, ma, anche e squisitamente, etica.
È abbastanza singolare che il dibattito etico si accenda intorno alle innovazioni biologiche, genomiche e procreative, mentre sul fronte delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, come la robotica, si osserva un’accettazione passiva delle possibili conseguenze. Ma gli effetti delle macchine intelligenti sono di vasta portata ed esercitano una forte pressione sull’etica. Il problema etico, già di per sé arduo nel mondo di oggi, viene complicato da questi nuovi attori che sono i robot: è importante capire che cosa si fa, come lo si fa e perché lo si fa, tenendo conto, per quanto possibile, delle conseguenze delle scelte compiute oggi, conseguenze che potrebbero dimostrarsi irreversibili. È un richiamo alla nostra responsabilità, che a sua volta deriva da una consapevolezza che ormai si fa strada tra i ricercatori più avvertiti.
Per le considerazioni che si intende svolgere sui robot e sulla roboetica, sarà utile prendere spunto dalla fantascienza, che costituisce un importante laboratorio di scenari suscettibili di trasformarsi in realtà, se non nei particolari certo almeno nei tratti generali. Nel caso dei robot la letteratura e la filmografia sono ricchissime di spunti. La psicologia e la sociologia dei robot, degli androidi, delle ginoidi e dei ciborg (o cyborg, all’inglese) sono uno dei temi più interessanti della fantascienza contemporanea e si annunciano come uno dei settori più problematici di un futuro già a portata di mano nell’ambito della robotica. Scrittori e registi hanno indagato con slancio e inventiva il rapporto uomo-macchina, indicandone i possibili sviluppi e i nodi prossimi venturi, a cominciare – per non risalire troppo indietro nel tempo e per citarne solo alcuni – dal dramma R.U.R. – Rossum’s Universal Robots del boemo Karel Čapek (1920), passando per i racconti di Isaac Asimov dedicati ai robot, fino a film come 2001: Odissea nello spazio, AI: Intelligenza Artificiale, Blade Runner e moltissimi altri ancora.

Una scena del film AI:
Artificial Intelligence di Steven Spielberg (2001)

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