Megistone
Golem, Frankenstein & Co.
«Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla di foggiarmi uomo,
ti chiesi io di suscitarmi dall’oscurità?»
(John Milton, Paradiso Perduto)
L’impresa della robotica si colloca nel solco del millenario tentativo di imitare l’atto divino della creazione. Più o meno dichiarata, quest’ambizione risale all'antichità biblica e classica, e la leggenda del Golem ne è forse l’esempio mitologico e letterario più noto. Golem è parola ebraica che significa “massa informe”: essa compare nell’Antico Testamento (Salmo 139) e indica Adamo prima che gli sia infusa l’anima.
Secondo la leggenda, grazie alle arti magiche, era possibile fabbricare un Golem di argilla, dargli movimento, e impiegarlo per eseguire compiti faticosi. In particolare lo si poteva usare come forte e ubbidiente difensore del popolo ebraico contro le persecuzioni.
Una mente artificiale in un corpo artificiale
Forse, in realtà, stiamo assistendo a una graduale fusione della natura generale delle attività e delle funzioni umane con le attività e le funzioni di ciò che noi umani abbiamo costruito e di cui ci siamo circondati.
(Philip Dick, Mutazioni)
INTRODUZIONE
Il robot, unione di mente sintetica e di corpo sintetico, rappresenta l’ultima versione del nostro tentativo plurisecolare di costruire l’uomo artificiale. La somiglianza sempre più spinta tra robot e uomo, che si estende alle capacità cognitive, all’autonomia e in prospettiva anche alle emozioni e forse alla coscienza, pone interrogativi inquietanti. La crescente diffusione dei robot in tutti i settori della società ci obbliga a considerare il rapporto di convivenza uomo-macchina in termini inediti, che, forse sorprendentemente, coinvolgono anche l’etica. Affrontare questi problemi è importante e urgente.
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