L’elasticità

L’elasticità

Per arrivare a deformare un corpo, è necessario applicare sullo stesso una forza di modulo conveniente; se il corpo, cessata l’azione della forza, recupera la forma primitiva, diciamo che è un corpo elastico; in tal caso la deformazione si dice deformazione elastica ed è proporzionale alla forza applicata (legge di Hooke).

I corpi non sono mai perfettamente elastici: se la deformazione supera un certo valore (limite di elasticità), le forze cessano di essere proporzionali alle deformazioni; inoltre, a causa della loro azione, si ha una deformazione residua del corpo; aumentando la forza deformante, si arriva al limite di rottura, quando cioè il corpo si rompe.

La legge di Hooke ha valore solo se si prendono in considerazione deformazioni piccolissime. Rappresentiamo con F l’agente deformatore (ad esempio, una forza di pressione) e con x la deformazione; la legge di Hooke si esprime con F=kx, dove k è una costante di proporzionalità tipica del corpo (→ 1).

Per il principio di azione e reazione il corpo contrappone, alla forza deformante, una forza uguale e contraria: in altre parole, dalla deformazione di un corpo viene generata una forza elastica.

Nel corso della deformazione la forza sposta il proprio punto di applicazione, compie cioè un lavoro, che, se il corpo è elastico, resta immagazzinato come energia potenziale di deformazione. Tale energia ritorna poi a convertirsi in lavoro, quando il corpo recupera la forma iniziale.

Il caso della molla compressa dalla massa m, visto a proposito della conservazione dell’energia meccanica, è un esempio di deformazione elastica.

Quando un corpo subisce una deformazione x, il modulo della forza che l’ha determinata passa da 0 a kx, per cui il valore medio della forza è dato da kx/2. Il lavoro effettuato dalla forza si può calcolare moltiplicando questo valore medio per lo spostamento x del punto di applicazione: kx2/2. Questo è anche il valore dell’energia potenziale corrispondente a una deformazione x.

Osserviamo le illustrazioni (→ 2, 3). Nella prima si osserva come l’energia cinetica porta il treno in arrivo a urtare contro i respingenti; l’energia cinetica si trasforma in energia potenziale di deformazione delle molle presenti nei respingenti. Alla partenza del treno l’energia di deformazione dei respingenti si ritrasforma in energia cinetica e collabora al distacco. Nell’altra illustrazione (→ 3), due palle da biliardo si deformano nell’urto, trasformando la loro energia cinetica iniziale in energia di deformazione, che arriva alla deformazione massima quando le palle vengono a contatto. L’energia di deformazione diminuisce, quando le palle si allontanano dalla posizione di contatto, e si trasforma in energia cinetica. Ritornate alla forma primitiva, le palle si separano; l’energia potenziale di deformazione ora è nulla e l’energia cinetica è costante.

Vibrazioni e onde

Fissiamo l’estremità A di una bacchetta di acciaio (→ 4) e spostiamo un poco l’estremità libera (B) dalla posizione di equilibrio: lasciando andare, la bacchetta prende a vibrare. Muovendo l’estremità B dalla posizione di equilibrio, si produce quindi nella bacchetta una deformazione, con conseguente comunicazione di una energia potenziale di deformazione. Le forze elastiche sviluppate dalla deformazione tendono a portare i vari punti della bacchetta, quando questa sia rilasciata, alla loro posizione di equilibrio, mentre l’energia potenziale di deformazione si trasforma in energia cinetica.

Con la bacchetta tornata in posizione di equilibrio, l’energia potenziale di deformazione diventa nulla: in questa posizione l’energia cinetica può dirsi massima e uguale all’energia di deformazione comunicata all’inizio. La bacchetta non rimane in posizione di equilibrio, ma riprende ad oscillare e a deformarsi. In assenza di attrito, ogni punto raggiunge così la sua posizione simmetrica rispetto alla posizione iniziale. Quando tutta l’energia cinetica si è trasformata in energia potenziale, la bacchetta prende una posizione di riposo istantaneo (velocità nulla), a cui corrisponde una energia potenziale di deformazione pari a quella iniziale. Tale posizione di riposo istantaneo è, naturalmente, simmetrica rispetto a quella iniziale. Se con a indichiamo lo spostamento di un punto qualsiasi dalla sua posizione di riposo, la sua energia potenziale di deformazione sarà 1/2 ka2; nella posizione 6), simmetrica rispetto all’asse, la separazione è -a, a cui corrisponde la stessa energia potenziale. Ogni punto della bacchetta è sottoposto a una forza diretta verso la posizione di equilibrio del punto, il centro di vibrazione, e proporzionale, ad ogni istante, alla distanza fra il centro di vibrazione e il punto; tale distanza è detta elongazione.

Il valore massimo dell’elongazione è l’ampiezza della vibrazione, pari alla distanza tra la posizione del punto e il centro di vibrazione, quando la velocità istantanea è nulla. Il tempo che impiega il punto per effettuare una vibrazione completa da 2) fino a 10) costituisce il periodo del moto, definito moto armonico semplice.

La frequenza è il numero di vibrazioni nell’unità di tempo, pari al reciproco del periodo: misurando il periodo in secondi, la frequenza è data in Hertz (Hz).

 

In→ 1 si rappresenta una massa, posta su una superficie priva di attrito, collegata a una molla elicoidale. Quando m è spostata dalla sua posizione di equilibrio, si genera una forza di richiamo data da F = – kx (il segno negativo indica che il verso della forza è opposto al verso dello spostamento). In base alla seconda equazione della dinamica, la forza deve essere uguale al prodotto della massa m per la sua accelerazione, quindi:

F= ma= – kx

(k è la costante di richiamo della molla); da cui a = – k/mx.

Una registrazione del moto della massa m in funzione del tempo si può ottenere come in → 1: la matita, solidale con la massa, si muove su un rotolo che scorre in maniera uniforme in direzione perpendicolare alla direzione in cui si muove la massa. Il grafico spazio-tempo che si ottiene è una curva sinusoidale (→ 2) della forma:

x = A sen (ωt + φ)

che dà la relazione tra l’elongazione x ed il tempo t (A rappresenta l’ampiezza del moto e φ è la fase iniziale, ed in → 2φ = 0):

dove f è la frequenza e T il periodo, rappresenta la pulsazione del moto armonico. Fra due punti qualsiasi, corrispondenti sulla curva, c’è un intervallo di tempo T (periodo); si dimostra che il periodo del moto armonico semplice di un punto di massa m, sottoposto a una forza F = kx, è:

Moto ondulatorio

Una manifestazione del fenomeno di interazione tra il moto di particelle è il moto ondulatorio. Consideriamo una corda tesa (→ 3): se sollecitiamo un movimento trasversale su una estremità, l’impulso si diffonde per tutta la lunghezza. In questo esempio, l’energia si propaga per onde trasversali, in direzione perpendicolare rispetto alla vibrazione dei punti. Un pistone che si muova con moto periodico in un cilindro comprime l’aria obbligando le particelle di questa a muoversi nella sua direzione (→ 4). Ogni strato ha una pressione maggiore del successivo. L’onda di pressione si propaga nella stessa direzione delle particelle: l’energia dunque si diffonde per onde longitudinali.

Durante un periodo T la perturbazione avanza di una distanza λ, detta lunghezza d’onda, che risulta uguale alla distanza che separa due onde consecutive (→ 5). Poiché la lunghezza d’onda è lo spazio percorso in un periodo T dalla perturbazione che si propaga con velocità v, si ha λ = vT oppure λ=v/f, dato che T = 1/f (f è la frequenza).

Onde sonore

Le onde sonore costituiscono una perturbazione meccanica. Sono onde longitudinali che producono variazioni di pressione e densità nel mezzo in cui si propagano. Immaginiamo di percuotere un gong o una qualsiasi superficie libera di vibrare (→ 1); la superficie, flettendosi in avanti, comprime lo strato d’aria adiacente, che si dilata a sua volta e colpisce lo strato successivo: si genera in questo modo la prima onda sonora.

Poco dopo, la superficie del gong si fletterà all’indietro, per elasticità: anche lo strato d’aria adiacente si dilata, mentre la prima onda sonora continua a propagarsi in maniera indipendente. Dunque, gli strati d’aria a contatto con la superficie metallica si comprimono e dilatano alternativamente. In modo analogo, se il cono di un altoparlante vibra f volte al secondo, le diverse particelle d’aria subiscono f compressioni e rarefazioni per secondo, oscillando intorno alla posizione d’equilibrio, poiché la direzione di vibrazione viene a coincidere con quella di propagazione della perturbazione. Quando queste onde arrivano entro l’orecchio, vi producono f compressioni e rare- fazioni al secondo e fanno vibrare la membrana trasmettendo all’interno la vibrazione: se f ha un valore compreso fra 16.000 e 20.000 Hz, si percepisce un suono.

I valori limite delle frequenze percepibili dal- l’uomo variano da individuo a individuo e devono considerarsi solo come indicativi; le frequenze basse corrispondono ai suoni gravi, le frequenze alte ai suoni acuti.

La sorgente sonora può essere semplice (ad esempio, il diapason) oppure complessa (la laringe umana, con le sue corde vocali).

Anche la vibrazione di una semplice corda tesa (violino, chitarra) dà origine a compressioni e vibrazioni nell’aria circostante, che si propagano come onde longitudinali e producono il suono.

In 2 è riportato il campo di frequenza dei suoni emessi dalla voce umana e da alcuni strumenti musicali.

Il diapason (→ 3) invece è uno strumento in cui la vibrazione di tutti i punti è armonica semplice, ha cioè una frequenza singola. Anche le vibrazioni dei punti dello spazio sono armoniche semplici: il loro suono è detto infatti suono puro. Gli altri sistemi che danno suono producono in genere suoni composti, che si possono considerare come sovrapposizione di un suono puro e di altri suoni con frequenza multipla della prima.

Al suono base si dà il nome di armonica fondamentale, ai suoi multipli quello di armoniche superiori.

Caratteristiche del suono

Il suono ha tre caratteristiche: intensità, altezza e timbro.

L’intensità distingue il suono forte dal suono debole; è una quantità fisica definita in termini di flusso di potenza, corrispondente al numero di watt al cm2 trasmessi attraverso una superficie perpendicolare al fronte d’onda. Un suono è molto intenso quando è molto grande l’energia delle particelle del mezzo di propagazione; si dimostra infatti che tale energia è proporzionale al quadrato dell’ampiezza della vibrazione. L’intensità di un suono dipende dunque dalla sua ampiezza. L’orecchio umano arriva a percepire una vasta gamma di intensità acustiche. I rumori con intensità di circa 1012 volte la soglia di udibilità (→ 4) possono essere avvertiti con una sensazione di fastidio negli organi dell’udito; oltre questo livello la sensazione diventa dolorosa e può danneggiare l’orecchio non protetto.

L’altezza di un suono è la caratteristica che permette di distinguere tra suoni acuti e suoni gravi; essa cresce con l’aumentare della frequenza d’onda. Tale frequenza corrisponde all’armonica fondamentale. Due note musicali diverse si distinguono nell’altezza.

Il timbro di un suono è la caratteristica che ci permette di distinguere una stessa nota emessa da strumenti diversi. Un violino e una tromba possono emettere una stessa nota (un medesimo tono), suoni cioè che hanno la stessa armonica fondamentale.

È possibile tuttavia che le armoniche superiori abbiano intensità relative differenti: il timbro di uno strumento dipende infatti dall’importanza che assumono le armoniche superiori (→ 5).

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